Aiuti umanitari, attenzione verso i dipendenti, approccio passivo: sono queste le caratteristiche dell’impegno delle aziende che investono in responsabilità sociale. I dati sono contenuti nel V Rapporto sull’Impegno sociale delle aziende in Italia, presentatoa Roma e realizzato da Swg per l’Osservatorio Socialis, con il sostegno di Dompé, Novartis e Pfizer e la partecipazione di Lega del Filo d’Oro e Cipsi.
Bilancio sociale, codice etico, internet sono gli strumenti più utilizzati per fare e diffondere cultura sociale dentro e fuori l’azienda.
L’indagine voluta dall’Osservatorio Socialis mette in evidenza che le imprese continuano a orientarsi verso la “dimensione esterna”, in
particolare verso attività di carattere umanitario. Ma cresce l'attenzione verso i dipendenti. Se infatti al primo posto (57%) si collocano le iniziative di
solidarietà, al secondo (4 aziende su 10) ci sono quelle dedicate al miglioramento delle condizioni lavorative. Circa l’80% delle imprese dichiara di aver sviluppato azioni a favore dei propri dipendenti, promuovendo la formazione e iniziative di comunicazione e ascolto. È soprattutto la sicurezza sul luogo di lavoro a beneficiarne, anche a fronte di controlli più serrati e di una normativa più stringente. Prevale, comunque, un approccio di tipo passivo: più di un terzo del campione si limita a erogazioni economiche o materiali. Così si spiega anche il calo di propensione ad aprire una fondazione e/o una onlus (rispettivamente 20% e 14% contro il 26,6% e il 20,2% del 2009). Per gestire le attività di responsabilità sociale, sempre più aziende decidono comunque di avvalersi di un responsabile interno (48% contro il 42,9% del 2009). Tra gli strumenti adottati è positiva la diffusione del codice etico: l’80% delle imprese lo conosce e più della metà ne ha adottato uno. Tra chi lo conosce, il 22% prospetta di adottarne uno nel prossimo futuro.
Inoltre il 37% redige il bilancio sociale e il 28% stila un rapporto di sostenibilità.
Secondo le aziende coinvolte, un’iniziativa di responsabilità sociale d’impresa deve soprattutto avere rilevanza sociale e una ricaduta sul territorio
(66%), mentre al secondo posto (56%) si conferma il tema del welfare. Segue la richiesta di trasparenza nella gestione economica dell’attività non a fini di lucro (53%). Chi investe in responsabilità sociale lo vuole anche comunicare all’interno dell’azienda (73%), soprattutto attraverso l’intranet. Il web invece è lo strumento preferito per comunicare all’esterno: il 30% usa il sito aziendale, il 13% si appoggia a Facebook, Twitter e gli atri social network, un altro 26% sfrutta altri canali internet.
Calano le aziende ma sale il budget
Nonostante la crisi, le grandi aziende italiane non fermano gli investimenti in responsabilità sociale d’impresa. Chi ha risorse per impegnarsi in questo
senso lo fa e aumenta anche il budget. Così si è arrivati nel 2011 al dato record di un miliardo e 74 milioni di euro a sostegno di ambiente, cultura e
welfare aziendale (vedi lancio successivo). Si tratta di 100 milioni in più investiti rispetto al 2009. E questo nonostante un calo significativo delle aziende che hanno potuto investire: se nel 2009 erano 7 su 10, nel 2011 il dato è calato a 6,4.
Ma la cifra media pro capite è salita a 210 mila euro, contro i 161 mila del 2009. Da un punto di vista territoriale, la responsabilità sociale d’impresa è
più radicata tra le aziende nel Nord Ovest, poi in quelle del Sud e delle Isole.
Per il futuro sembra confermato questo trend: per il 2012 il budget dovrebbe puntare verso i 224 mila euro, a fronte di un ulteriore calo delle imprese che investiranno (55% rispetto al 64% del 2011). Il 22% delle imprese intervistate ha già definito un budget per l’anno in corso, il 33% definirà l’importo in base ai progetti o all’andamento dell’impresa nell’anno.
Secondo le aziende intervistate, a frenare la diffusione della responsabilità sociale d’impresa sono soprattutto la mancanza di ritorni immediati (37%), la
scarsa cultura manageriale (25%) e la mancanza di incentivi di mercato (25%). “In momenti economici difficili, in cui le risorse sono scarse – commenta
Roberto Orsi, presidente di Errepi Comunicazione e promotore dell’Osservatorio Socialis –, l’unica soluzione per una crescita sostenibile è una nuova sensibilità d’impresa, che ascolti i bisogni dei consumatori, che coinvolga sempre di più i dipendenti e che trovi un alleato nelle istituzioni. E questi dati dimostrano che le aziende hanno voglia di fare di più". Orsi annuncia anche l’obiettivo di creare una "Carta della responsabilità sociale d'impresa" da condividere con le amministrazioni pubbliche. Il documento dovrà contenere le istanze delle aziende responsabili, che chiedono maggiori riconoscimenti, incentivi fiscali e un impegno concreto per la diffusione di una nuova cultura della corporate social responsibility.
Responsabilità sociale d’impresa, "antidoto alla crisi"
L'adozione di politiche di Responsabilità sociale e di attenzione allo sviluppo sostenibile è un ''antidoto'' per superare la crisi e rilanciare la competitività delle imprese: lo pensa il 79% dei top manager intervistati nell’ambito del sondaggio “Il sostenibile peso della Rsi”, presentata nel corso del
“Csr Italian Summit 2012”, organizzato da Business International e Amref Italia. I manager, sottolinea il rapporto, “percepiscono la gravità dell’attuale
contesto economico-finanziario anche come una nuova opportunità per ripensare le priorità e le modalità dello sviluppo economico e sociale”. La risposta incentrata sull’adozione di politiche di Csr come principale fattore di innovazione è seguita, con un ampio margine, dall’innovazione di prodotto (49%) e dagli investimenti in tecnologie (44%). Le scelte di investimento di chi è già socialmente responsabile denunciano però una situazione di crisi: solo il 47% dichiara di mantenere costanti i livelli di investimento effettuati, mentre spicca il dato complessivo (43%) relativo alle volontà di ridefinire i progetti intrapresi, diminuire gli investimenti e ridurre la collaborazione con partner specializzati.
“Sembra comunque chiara – sottolineano gli osservatori - la consapevolezza che il dimostrare di essere un corporate citizen, responsabile nei confronti di consumatori, dipendenti e della comunità locale può contribuire considerevolmente a riconquistare, con la cultura della buona condotta, la fiducia della società, minata dalla considerazione, in ampi strati dell’opinione pubblica, che il business is business sia in parte causa dell’attuale situazione di
crisi".
Migliora il rapporto tra aziende e Ong per la realizzazione di cause sociali. Le aziende cercano visibilità e affidabilità e si rivolgono a organizzazioni
che dimostrano un certo livello di managerializzazione e di continuità, con un ambito operativo ben definito e una rendicontazione chiara dei risultati: è
anche una questione di linguaggio comune. Questo elemento risulta evidente nella domanda relativa ai criteri per la scelta del partner: il 41% del campione dichiara di averlo selezionato sulla base della mission e degli elementi qualificanti la sua attività. Il dato rileva un’inversione di tendenza rispetto allo scorso anno, quando la ricerca rilevò che la selezione della Ong una volta su due avveniva attraverso un meccanismo di conoscenza diretta e personale. Nel complesso, anche se su questo fronte l'Italia registra un ritardo rispetto all'estero, denotando un certo grado di scetticismo e diffidenza da parte delle aziende, il non semplice dialogo tra organizzazioni non governative e imprese è sempre più diffuso.
Per approfondimenti
www.osservatoriosocialis.it/
(fonte: redattoresociale)