Alla Dozza il numero dei detenuti è in calo costante. Lo ha riferito la direttrice della casa circondariale, Ione Toccafondi, nella seduta congiunta delle commissioni “delle elette” e “sanità e politiche sociali” riunite per un’udienza conoscitiva sulla situazione della Casa circondariale richiesta dal consigliere Francesco Errani.
Al 16 maggio sono 1.006 i detenuti (si era scesi sotto i mille ma poi sono arrivati i 7 arrestati per le rivolte al Cie di via Mattei), di cui 72 donne. Le condanne definitive sono il 48% per le donne (34) e il 50% per gli uomini (467). “Possiamo tirare un respiro di sollievo ha detto Toccafondi perché avvicinarsi alla capienza tollerabile significa dare condizioni di detenzione un po’ più vivibili: ad esempio, ci possiamo permettere di separare le persone che non vanno d’accordo e non vogliono stare nella stessa cella”.
Nonostante questo trend calante, però, la situazione rimane drammatica. Alla Dozza le carenze sono evidenti sia dal punto di vista strutturale che economico. “La struttura viene retta dal lavoro dei detenuti ha spiegato la direttrice ma i fondi a disposizione non ci permettono di ammettere al lavoro un numero di detenuti sufficiente a garantire uno standard igienico-sanitario elevato”. Non c’è lavoro esterno e dopo la chiusura della tipografia ora è a rischio anche il laboratorio di sartoria della sezione femminile. Molte attività, poi, sono possibili solo grazie al lavoro dei volontari che aiutano i detenuti, ad esempio, che seguono corsi universitari per permettere loro di dare gli esami o suppliscono alle carenze dell’amministrazione nel fornire ai detenuti abiti, scarpe, prodotti per l’igiene. “Serve sempre di tutto ha sottolineato Laura Lucchetta di Ausilio per la cultura ma può essere sempre tutto demandato alla buona volontà di qualcuno?”.
Ecco perché secondo la volontaria, “è necessario che la casa circondariale entri a far parte della città come un quartiere di Bologna”. L’intervento degli enti locali in questo senso è molto importante. “Gli attuali provvedimenti legislativi vanno nella direzione giusta ma non sono sufficienti per affrontare il problema del sovraffollamento ha detto Elisabetta Laganà, garante dei diritti dei detenuti Serve una revisione del concetto di pena e gli enti locali devono lavorare nell’ottica che la giustizia non è solo dell’amministrazione penitenziaria ma di tutti e devono mettere a disposizione risorse per fare in modo che la pena non sia solo carcere ma che torni a essere rieducativa”.
I detenuti alla Dozza sono in calo. “Le ragioni vanno cercate in una maggiore attenzione da parte dei magistrati ha detto Elisabetta D’Errico, presidente della Camera penale che ricorrono meno alla custodia cautelare in carcere e a una ripresa delle misure alternative”. Le criticità però rimangono. “Le condizioni sono invivibili, gli spazi sono angusti, i servizi igienici fatiscenti e i detenuti non hanno prospettive ha continuato D’Errico Alcuni bracci poi sono particolarmente vergognosi: ci sono detenuti con patologie gravi e invalidanti o psichiche insieme a detenuti che non hanno problemi: c’è un grande sforzo da parte di tutto il personale e della direzione ma la situazione rimane difficile”.
D’Errico ha inoltre indicato alcune direzioni da percorrere per migliorare le condizioni della Dozza: puntare sui lavori di pubblica utilità per non stare in cella 20 ore al giorno, fare in modoche il carcere faccia parte della città attraverso una sinergia tra le istituzioni e sensibilizzare i cittadini, ad esempio, portando le scuole a visitare le carceri. Il ricorso ai lavori socialmente utili è stato indicato anche dalla direttrice come una delle possibili scelte.
“Credo che molti detenuti sarebbero disposti a fare lavori di pubblica utilità ha detto Toccafondi pur di non stare in cella tutto il giorno”.Criticità che non riguarda solo i detenuti, gli agenti o la direzione del carcere. Ma anche i
volontari, pur nella positività delle esperienze di formazione, socializzazione, assistenza raccontate dai rappresentati delle associazioni che lavorano all’interno della Dozza. Giuseppe Tibaldi di Avoc (associazioni volontari carcere) ha sottolineato l’importanza di non tornare indietro rispetto a quello che si è fatto finora e ha puntato il dito sul concetto di “diritti” dei detenuti. “Per chi è in carcere i diritti della Rivoluzione Francese sono meno importanti rispetto al diritto di avere vestiti puliti e di potersi cambiare” ha detto. Tibaldi ha inoltre ricordato l’importanza di far ripartire il Comitato carcere città, attivo fino a qualche anno fa a Bologna e poi sospeso. “Necessario farlo ripartire ha detto per fare trasparenza”. Altro problema che va ricollegato alla mancanza di organico da parte del Tribunale di sorveglianza è stato riportato da Paola Bianchi, un’altra volontaria. “Ci hanno dimezzato le autorizzazioni all’ingresso ha raccontato Sono passate da 30 a 10 perché le nostre domanda giacciono inevase da dicembre: per la prima volta dal 1996 per questo motivo ad agosto non riusciremo a realizzare le nostre iniziative in carcere in uno dei periodo più difficili per i detenuti”. Per risolvere i problemi del Tribunale di sorveglianza è stato avviato un protocollo con l’Università per poter dare personale in aiuto.
Il carcere non è l’unico luogo di esecuzione della pena. Ne ha parlato in commissione Maria Paola Schiaffelli dell’Ufficio regionale dell’esecuzione penale esterna sottolineando come, anche in questo caso, le difficoltà siano enormi. “Attualmente a Bologna ci sono 114 persone in detenzione domiciliare ha spiegato Si tratta di persone che si trovano in una condizione di estrema solitudine e di abbandono”. In questi casi è infatti difficile coinvolgere i volontari e il fatto di non poter lavorare li mette in una situazione di povertà. “Per queste persone non c’è né lavoro bianco né lavoro nero” ha continuato Schiaffelli. L’Ufficio di esecuzione penale esterna lavora con operatori amministrativi e assistenti sociali in stretta relazione con il Comune. “Nel 2011 abbiamo realizzato alcuni importanti progetti, tra cui 19 sostegni al reddito e 13 avviamenti al lavoro”.Per queste persone, il lavoro socialmente utile potrebbe essere un modo per uscire dalla solitudine in cui si trovano, “anche se poi rimarrebbe il problema del loro supporto economico ha chiarito Schiaffelli perché come tutti, poi, alla fine del mese devono pagare le
bollette”. A Bologna dal 2011 è attivo un protocollo che riguarda il lavoro socialmente utile per coloro che sono stati condannati per guida in stato di ebbrezza. “Ci sono 25 posti ha spiegato Elisabetta Laganà e la lista di attesa è lunga”.
(fonte redattoresociale)