La metà dei detenuti del carcere della Dozza ha zero euro sul proprio conto corrente, non riceve denaro dall’esterno e per tutto ciò che non viene fornito dalla casa circondariale deve ricorrere al volontariato”. Lo dice Massimo Ziccone, responsabile educativo della casa circondariale di Bologna. “Ormai, il carcere è diventato un luogo in cui vivono i poveri o, per meglio dire, i nullatenenti che vivono di carità”. Di fronte alla proposta della neo-eletta garante dei diritti delle persone private di libertà personale Elisabetta Laganà, intenzionata a ripristinare il “comitato carcere-città” per favorire le misure alternative alla detenzione e in primis il lavoro, Ziccone non esita a sottolineare che un reddito per chi è detenuto è davvero prezioso. “Alla Dozza ci sono circa 1.100 persone, e praticamente tutti chiedono di lavorare” dice Ziccone. Il lavoro, però non si trova: dentro il carcere, “le risorse dell’amministrazione si riducono di anno in anno. Se 10 anni fa, per i lavori cosiddetti ‘domestici’, ovvero legati al funzionamento della casa circondariale, erano impiegati 270 detenuti al mese, ora le risorse a disposizione permettono di impiegarne solo 80”.
Il lavoro, unica opportunità. Se l’amministrazione carceraria può provvedere al vitto e poco altro, la maggior parte dei detenuti non riceve denaro neppure dalla propria famiglia. “Anzi – continua Ziccone – alcuni hanno fuori dal carcere una famiglia che sono loro a dover mantenere”. Cosa fare? “La creazione di sussidi è impensabile, perché nessuna amministrazione avrebbe a disposizione i fondi per risolvere un problema di tali dimensioni” taglia corto Ziccone. Dal carcere “stiamo cercando di provvedere in qualche modo, procacciando dei lavori per i detenuti: ad esempio, 4 di essi hanno seguito un corso di formazione per la ripulitura dei muri e di recente hanno ripulito dai murales le pareti del liceo Copernico. Ora, abbiamo in programma un appuntamento con Hera per cercare loro delle commesse di lavoro”.
La situazione: il lavoro dentro e fuori il carcere. Oltre agli 80 detenuti impiegati nelle mansioni “domestiche”, ci sono quelli che sempre all’interno del carcere compiono delle “lavorazioni”, come vengono definite le mansioni svolte in convenzione con le imprese (per lo più cooperative sociali). Si tratta, ad esempio, dei laboratori di sartoria e di riciclaggio dei rifiuti elettrici (Raee), che impiegano ciascuno 4 detenuti. “Tuttavia, anche queste realtà sono sempre più a rischio, perché faticano a reggere la concorrenza con il mercato”. Partirà invece a gennaio l’officina meccanica in cui saranno prodotti pezzi per Ima, Gd e Bonfiglioli riduttori: la struttura, che è in via di messa a punto, impiegherà 12 persone che al momento stanno seguendo un percorso di formazione. Ci sono poi coloro che riescono a lavorare fuori dalle mura del carcere, perché in stato di semilibertà o per “lavoro esterno”, una misura che richiede l’approvazione del magistrato di fronte a una richiesta formulata da un datore di lavoro. Ora, entrambe le condizioni per poter lavorare fuori dal carcere vengono a mancare: da un lato, “c’è un irrigidimento nella concessione delle misure alternative al carcere” e dall’altro “i datori di lavoro scarseggiano, anche perché le condizioni economiche sono cambiate”.
Di fronte a questa situazione, ben venga la proposta (avanzata prima dall’assessore ai Servizi sociali del Comune Amelia Frascaroli e poi dalla neo-garante dei diritti dei detenuti Elisabetta Laganà) per la ricostituzione del “Comitato carcere-città”, una compagine partecipata da istituzioni, sindacati, associazioni di volontariato per dare un’opportunità ai detenuti. “Il comitato era attivo degli anni 90 ma con il tempo si è dissolto e il patrimonio di opportunità che aveva creato si è disperso”. Ziccone si riferisce ad esempio alle borse-lavoro, 26 mila euro stanziati in tutto nel 2011, “per l’organizzazione delle quali ci siamo dovuti arrangiare”. Colpa, secondo il responsabile educativo della Dozza, “anche del decentramento, che ha portato in parte allo smantellamento dei servizi sociali: ad esempio, presso l’assessorato alle Politiche sociali del Comune c’era una banca dati per le opportunità di lavoro socialmente utile, che è andata persa”. A oggi, “è necessario trovare dei datori di lavoro e stimolarli, e quest’attività spetta a un ente locale, che sia il Comune o la Provincia attraverso i Centri per l’impiego”.
(fonte redattoresociale.it)