La storia del voto in Italia

Rifare il percorso che ha portato all’attuale modalità di elezione del sindaco è come leggere la storia dell’Italia unitaria seguendo un filo conduttore principale che consente di cogliere le tracce dei generali mutamenti politici e sociali. Naturalmente la ricerca non ha potuto prescindere dal sistema elettorale nazionale, che vede la lenta estensione del diritto di voto all’elettorato maschile ed infine, ma solo nel 1945, all’elettorato femminile.

Le elezioni amministrative, come cambiano dall'Unità d'Italia ad oggi

Rifare il percorso che ha portato all'attuale modalità di elezione del sindaco è come leggere la storia dell'Italia unitaria seguendo un filo conduttore principale che consente di cogliere le tracce dei generali mutamenti politici e sociali.
Naturalmente la ricerca non ha potuto prescindere dal sistema elettorale nazionale, che vede la lenta estensione del diritto di voto all'elettorato maschile ed infine, ma solo nel 1945, all'elettorato femminile.

Dal 1848 al 1898
Nel Regno di Sardegna la legge elettorale emanata da Re Carlo Alberto il 17 marzo 1848 prevedeva che ad esercitare il diritto di voto fossero solo i maschi di età superiore ai 25 anni, che sapessero leggere e scrivere e che pagassero al Regno un tributo di 40 lire. Erano ammessi a votare, indipendentemente dal censo, anche i magistrati, i professori e gli ufficiali.
Parallelamente, il Consiglio comunale, la cui nascita come organo amministrativo e come assemblea rappresentativa coincide con la rivoluzione francese, trovò un suo primo inserimento nella legislazione del Regno Subalpino, ad imitazione del sistema francese, con la legge 2 agosto 1848 modificata dalla legge 23 agosto 1859 e, dopo l'unificazione amministrativa del Regno d'Italia, con la legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865. Quest'ultima stabilì che ogni comune dovesse avere un consiglio comunale con un numero di consiglieri che andavano da 15 a 80, in relazione alla popolazione, ed una giunta municipale.
Per Bologna il consiglio era composto da sessanta membri.
I consiglieri restavano in carica per cinque anni, ma dovevano rinnovarsi ogni anno di un quinto, pur essendo sempre eleggibili, secondo una scansione casuale. Gli elettori erano i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni, che godessero dei diritti civili e che pagassero da almeno sei mesi un certo tributo rapportato alla classe del comune; è quindi un elettorato che si basa sul censo delle persone.
Con il successivo testo unico delle leggi comunali e provinciali approvato con Regio decreto del 4 maggio 1898, n. 164, si prevedeva un'ulteriore condizione: quella di saper leggere e scrivere.
Oltre ai requisiti generali: età (21 anni compiuti, che era anche la maggiore età), cittadinanza, godimento dei diritti civili ed il saper leggere e scrivere, l'elettore doveva quindi possedere almeno uno dei due requisiti speciali: la capacità intellettuale, che si traduceva nel superamento degli studi del corso elementare obbligatorio, oppure il censo.
Illuminante, al riguardo, è il commento alla legge di Enrico Mazzoccolo (ed. 1901):
"Il censo è non solo presunzione di capacità, ma dimostra anche il grado di interessamento che un individuo ha nell'amministrazione del Comune e sulla quale perciò ha diritto di influire col voto, a protezione di tale suo interesse. E' dunque il censo, in certo modo, la base per eccellenza del diritto elettorale. Il censo non esprime solo ricchezza inerte che sia dovuta alla nascita o al caso, ma significa anche lavoro onorato, industria operosa e previdente risparmio. Se l'elettorato per capacità è opera di giustizia, l'elettorato per censo è opera anche di moralità, altrimenti si darebbe, secondo la frase di Stuart Mill, il diritto ai nullatenenti di frugare nelle tasche di chi possiede qualche cosa."


intanto a Bologna

Il 12 giugno 1859, il presidio austriaco abbandona il palazzo municipale (Gran guardia della piazza Maggiore). L'insegna pontificia viene fatta discendere dalla porta del palazzo e viene sostituita dalla bandiera tricolore con lo stemma dei Savoia. Una giunta provvisoria assume il governo della città, ne fanno parte: il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, il conte Giovanni Malvezzi Medici, il prof. Antonio Montanari, l'avv. Camillo Casarini e il marchese Luigi Tanari.
Il 22 giugno 1859, la giunta provvisoria bolognese, ricevuta l'adesione delle altre giunte provinciali, assume la denominazione di giunta centrale provvisoria di Governo.
Il 14 luglio 1859, Massimo d'Azeglio si insedia in veste di Commissario straordinario del Re per le Romagne, sostituito a fine mese da Leonetto Cipriani inviato dal Governo piemontese.
Il 28 agosto 1859 viene eletta l'Assemblea nazionale delle Romagne che si riunisce a Bologna il 6 settembre 1859 sotto la presidenza di Marco Minghetti.
Nell'ottobre 1859, al posto di Leonetto Cipriani subentra come commissario per Bologna e le Romagne, Luigi Carlo Farini.
Si insedia il nuovo Consiglio comunale. È così composto: esponenti liberali, Marco Minghetti, Gioacchino Pepoli, Luigi Tanari, Camillo Casarini; commercianti e imprenditori, Rodolfo Audinot, Paolo Lollini, Filippo Manservisi, Egidio Succi; avvocati e ingegneri, Gaetano Berti, Napoleone Brentazzoli, Carlo Brunelli, Giacomo Cazzani.
L'8 novembre 1859 il marchese Luigi Pizzardi viene nominato Senatore e il 13 febbraio 1860 si svolgono nuove elezioni comunali. Sono nominati senatori del Regno: Luigi Pizzardi, Bevilacqua, il conte Giovanni Malvezzi de' Medici, il conte Giovanni Gozzadini (grande possidente), Antonio Montanari (professore universitario, liberale moderato).
Nelle giornate dell'11 e 12 marzo 1860 si svolge il Plebiscito d'annessione di Bologna al Regno sabaudo che di fatto conclude il compito del commissario Luigi Carlo Farini.
Il 14 marzo 1860, il Tribunale della Cassazione annuncia il risultato del plebiscito nelle province dell'Emilia, a Bologna su 370.762 abitanti, i votanti sono 76.500 di cui favorevoli all'annessione 76.276; 63 a favore del Regno separato e 161 schede nulle. Il 20% degli elettori si astengono per protesta contro l'annessione.
Il 28 marzo 1860 il Consiglio comunale si riunisce per la prima volta. Vengono nominati i nuovi assessori: Giuseppe Buggio, il dr. Giuseppe Fagnoli, il conte Agostino Salina, Carlo Bignami, il dottor Francesco Egidio Succi, il dottor Enrico Bartolazzi, l'avvocato Pompeo Mazzei, l'avvocato Ulisse Casarini. Tra gli assessori supplenti: Antonio Lagorio, Raimondo Brighenti, Giovanni Zoboli, l'ingegnere Carlo Brunelli.
Il 6 aprile 1860 si conclude il mandato di Senatore di Luigi Pizzardi che viene rieletto non più con la nomina di Senatore, ma con quella di Sindaco.


Il testo unico del 1898
Il testo unico del 1898 stabilisce che ogni comune debba avere un consiglio, una giunta ed un sindaco ed inoltre un segretario ed un ufficio di segreteria. Il sindaco e la giunta sono eletti dal consiglio comunale nel proprio seno. La composizione della giunta varia da 2 a 10 assessori effettivi in proporzione al numero di abitanti del comune. A Bologna il consiglio era formato da 60 consiglieri e la giunta dal sindaco e da 12 assessori (otto effettivi e quatto supplenti). Fino a questa innovazione la nomina del sindaco era riservata al Re.

Elettorato attivo nel Regno d'Italia
A livello nazionale, con la legge 999 del 1882 si ammettono all'elettorato politico tutti i cittadini maggiorenni che superino l'esame del corso scolastico obbligatorio oppure paghino un censo annuo di 19,80 lire.
Con il testo unico 1915 è elettore amministrativo in un comune chi è cittadino italiano; chi ha 21 anni compiuti; chi ha la residenza nel comune ovvero paga nel comune un certo censo e contro il quale non siano in corso cause di esclusione per incapacità ed indegnità.
L'elettorato amministrativo per censo, in presenza del suffragio universale maschile introdotto dalla legge nel 1912, consentiva di essere elettori amministrativi in più comuni del Regno, ma elettori politici in uno solo. Gli elettori per censo infatti avevano "domicilio elettorale" nei comuni nei quali pagavano un determinato tributo. La grande maggioranza aveva diritto all'elettorato per residenza, ovvero erano domiciliati in senso elettorale solo in quel comune nel quale, con l'esercizio della dimora abituale, si accertava quel requisito.
Al paragrafo n. 4, "Esclusi dall'elettorato", l'art. 24 del testo unico 1915 recita: "Le donne non possono essere inscritte nelle liste elettorali amministrative e non sono eleggibili agli uffici designati dalla presente Legge."
Le donne quindi, per non essere confuse con le altre categorie di incapaci (quali interdetti, inabilitati e coloro che sono a carico della pubblica beneficenza) godono di uno specifico articolo. Va ricordato comunque che solo con la legge n. 1176 del 17 luglio 1919, fu accordato alle donne il pieno esercizio dei diritti civili ed il diritto ad essere ammesse, al pari degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, con esclusione di quelli giurisdizionali, di potestà politiche o che attengono alla difesa dello Stato.
Con la legge n. 2125 del 22 novembre 1925, si sanciva che l'art. 24 venisse sostituito da tre articoli in cui si prevedeva l'iscrizione nelle liste elettorali amministrative delle donne con più di venticinque anni, che fossero decorate di medaglia al valore militare o di guerra o civile, oppure madri o vedove di caduti in guerra, in grado di saper leggere e scrivere e con censo definito. Avrebbero avuto diritto di votare nelle elezioni comunali e provinciali successive, il 31 maggio 1926, con votazione in sezioni separate da quelle degli uomini. Purtroppo tale diritto, per quanto limitato, non fu esercitato per l'intervenuta entrata in vigore della legge n. 237 del 4 febbraio 1926, che soppresse le elezioni democratiche e introdusse la figura del podestà.

Il 31 ottobre 1920 si svolgono le elezioni generali che portano alla formazione del nuovo consiglio comunale a maggioranza socialista.
Il 21 novembre 1920 la seduta si apre sotto la presidenza di Amilcare Bortolotti, Enio Gnudi, "un umile e semplice operaio" appartenente alla frazione comunista del Partito socialista italiano, è eletto sindaco con 44 voti favorevoli, 12 schede bianche e 1 astenuto, i votanti sono 57.
Enio Gnudi pronuncia un discorso dove si afferma che i diritti della classe operaia saranno difesi anche attraverso l'amministrazione comunale. Segue il discorso del consigliere Giuseppe Albini che parla a nome della minoranza, ma viene ripetutamente interrotto da rumori e grida provenienti da piazza del Nettuno. Clamori ed esplosioni costringono i consiglieri a scappare dall'aula in "uscita disordinata" interrompendo di fatto la seduta.
Nell'aula entrano persone non appartenenti al Consiglio che armati esplodono numerosi colpi di pistola. Giulio Giordani, mutilato di guerra, consigliere di minoranza viene colpito e muore poco dopo il suo ricovero in ospedale. I fascisti scatenato un attacco armato contro la folla che festeggia la vittoria elettorale socialista in piazza del Nettuno, provocando un eccidio (Eccidio di Palazzo d'Accursio). Muoiono 10 lavoratori e numerosi sono i feriti.
Dagli atti del consiglio comunale, si legge che il resoconto è tratto dai ricordi dei funzionari presenti e dalle cronache dei giornali cittadini.:
"La seduta fu tragicamente e repentinamente interrotta, dopo circa un'ora dal suo inizio; perciò non esiste di essa un regolare verbale, non avendo potuto essere questo né approvato, né firmato a sensi di legge."
Due giorni dopo l'amministrazione viene sciolta d'autorità e per tre anni verrà retta dal commissario prefettizio Vittorio Ferrero.
Il 21 gennaio 1923 si tengono le elezioni generali. Umberto Puppini è eletto sindaco il 4 marzo 1923 fino al 25 dicembre 1926.

Il fascismo
L'avvento del fascismo segna la fine del consiglio comunale ed il ritorno della nomina regia dell'autorità municipale: non più sindaco, ma podestà. La soppressione dei consigli e la nomina del podestà fu decisa prima per i comuni sino a 5000 abitanti (legge n. 237, 4 febbraio 1926) e poi rapidamente estesa a tutti i comuni con Regio decreto legislativo n.1910, 3 settembre 1926. Il podestà era fiancheggiato nella maggior parte dei comuni da una consulta, organo secondario con funzioni meramente consultive. Il podestà esercitava le funzioni di capo dell'amministrazione e di ufficiale di governo. In lui si assommavano tutti i poteri: deliberativi, esecutivi e rappresentativi dei tre organi: consiglio, giunta e sindaco. Le nuove disposizioni sono contenute nel testo unico della legge comunale e provinciale approvato con Regio decreto n. 383, 3 marzo 1934.


intanto a Bologna

Il primo podestà fu Leandro Arpinati e l'ultimo Mario Agnoli che cessò il 20 aprile 1945.


Il primo dopoguerra
Il 25 luglio 1943 alla caduta del regime fascista, con il regio decreto legislativo luogotenenziale n. 111, 4 aprile 1944, vennero disposte norme transitorie, in attesa di poter indire le elezioni per l'amministrazione dei comuni e delle province. Si stabiliva che ogni comune doveva avere un sindaco ed una giunta. Intanto con decreto legislativo luogotenenziale n. 23, 2 febbraio 1945, emanato dal Consiglio dei ministri presieduto da Ivanoe Bonomi, con ancora il paese diviso ed il Nord sottoposto all'occupazione tedesca, fu esteso il diritto di voto alle donne. Nel decreto non è però prevista la loro eleggibilità, che sarà sancita solo dal decreto legislativo luogotenenziale n. 74, 10 marzo 1946: "Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente", il cui art. 7 recita: "Sono eleggibili all'Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età".
Con il decreto legislativo luogotenenziale n. 1, 7 gennaio 1946, fu disposta la ricostituzione degli organi elettivi del comune e recepita per il corpo elettorale l'innovazione introdotta circa il voto femminile.
intanto a Bologna

Il 22 aprile 1945 il Governo Militare Alleato nomina ufficialmente sindaco di Bologna Giuseppe Dozza. In seguito viene composta una giunta rappresentativa dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale Emilia-Romagna. Una delle prime decisioni del nuovo sindaco riguarda infatti la formazione delle liste elettorali per permettere un rapido avvio delle consultazioni amministrative. Già nel giugno 1945 il responsabile dell'Ufficio elettorale informava dell'avvio dei lavori per la ricostituzione delle liste elettorali (il vecchio materiale elettorale era andato interamente distrutto), prevedendo la compilazione di 180.000 schede per lo schedario degli elettori da cui costruire poi le liste elettorali. L'1 agosto 1945 il sindaco scrive al prefetto che si è iniziato il rilievo dal Registro della popolazione delle persone d'ambo i sessi aventi titolo all'iscrizione nelle liste elettorali. Comunica che la rilevazione ha raggiunto la lettera D. Le operazioni si svolgono negli uffici di via de' Pignattari con un organico di 20, poi 50, 100, fino a raggiungere il numero di 136 impiegati che stilano ex novo le schede separate per femmine e maschi. Sempre su iniziativa del sindaco, in assenza di una normativa specifica, viene costituita un'assemblea che, benché non elettiva, era rappresentativa di tutte le forze politiche. In un primo tempo è chiamata Consulta comunale, proprio per accentuare il suo carattere di organo meramente consultivo e non decisorio e poi è nominata Consiglio comunale, in attesa delle libere elezioni. In questo modo il Sindaco risolve il problema della legittimazione di una giunta comunque fragile dal punto di vista del confronto, delle critiche eventuali e della dialettica fra le parti. E' un consiglio che fa da "ponte" per collegare organo esecutivo e cittadinanza in un momento di grande tensione sociale e di importanti decisioni da condividere. E' formato da 80 membri: dieci per ciascuno dei sei partiti della coalizione, oltre a sei membri nominati dall'ANPI, ai 13 assessori e al Sindaco, giuridicamente eletto secondo le norme del Testo Unico della Legge comunale e provinciale del 1915. La prima seduta di questo consiglio "provvisorio" si svolge il 19 dicembre 1945. La sala è collegata alla piazza attraverso gli altoparlanti. La cerimonia diventa così corale e assume un forte significato di unione fra il Palazzo e la città. Continuano nel frattempo le operazioni di formazione delle liste elettorali anche con le domande di iscrizione da parte dei Profughi che si concludono con la iscrizione di 101.057 elettori maschi - e di 121.729 elettrici, per totale 222.786. Le Sezioni sono 246. Si vota domenica 24 marzo 1946. Al termine delle votazioni risultano avere votato 101.870 donne e 87.100 uomini, per un totale di 188.970 votanti con una percentuale del 84,83%. I risultati vedono il PCI con il 38,28% con 24 seggi; DC 30,33 % 19 seggi; PSI 26,30% con 16 seggi; PRI 2,87% con 1 seggio; nessun candidato per il Partito d'Azione e per il PLI. Le donne elette sono quattro su sessanta consiglieri. Sono i due partiti maggiori ad avere la rappresentanza femminile: due elette su 24 consiglieri per il Pci e sempre due su 19 per la DC.


L'avvio del periodo repubblicano
La storia delle elezioni in epoca repubblicana è quindi iniziata. Prosegue con il voto del 2 giugno 1946 per il Referendum istituzionale e per l'elezione dell'Assemblea costituente, con il compito di scrivere la nuova carta costituzionale, frutto dei valori della resistenza e dell'antifascismo.
L'1 gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica italiana, deliberata dall'Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola.
L'art. 5 della Costituzione recita: "La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali".
L'art. 128, ora abrogato, così recitava: "Le Province e di Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.", riconoscendo rilevanza costituzionale alle autonomie locali.
Per quanto concerne i rapporti politici, la Costituzione sancisce, all'art. 48, il suffragio universale: "Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età", e i principi del voto: "Il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico."

I consigli comunali eletti nel 1946 avrebbero dovuto essere rinnovati entro il 1950, data la scadenza quadriennale stabilita nel decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1, ma la legge n. 255, 12 maggio 1950, ne prorogò la durata per consentire modifiche a quel decreto.

Il disegno di legge per la riforma elettorale amministrativa era stato presentato alla Camera dei deputati dal ministro dell'Interno, Mario Scelba, il 16 dicembre 1949, insieme ad altri due, uno contenente "Norme per la elezione dei Consigli provinciali", l'altro "Norme per l'elezione dei Consigli regionali" (che sostituiva quello presentato nella seduta del 10 dicembre 1948). Con numerosi emendamenti sostanziali al primo testo della Commissione, i due rami del Parlamento approvarono le nuove norme per l'elezione dei Consigli comunali. La Legge n. 84, 24 febbraio 1951, conservò il vecchio sistema del voto limitato per la elezione dei Consigli comunali nei comuni fino a 10.000 abitanti. Invece, per i Comuni con oltre 10.000 abitanti veniva adottato lo scrutinio di lista con facoltà di collegamento tra le liste e con rappresentanza proporzionale delle minoranze. Alla lista o al gruppo di liste collegate che avessero ottenuto la maggioranza relativa dei voti validi, sarebbero stati attribuiti i due terzi dei seggi (premio di maggioranza), mentre il rimanente terzo sarebbe stato ripartito con il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti, a favore di tutte le altre liste. Sulla base delle normative adottate con la legge n. 84/1951 - che conteneva anche un'importante innovazione per quanto riguardava il numero dei componenti le giunte municipali - si svolsero le elezioni comunali in queste date: 27 maggio 1951, 10 giugno 1951 e 25 maggio 1952.
A livello nazionale intanto vengono approvate negli anni Cinquanta varie disposizioni che definiscono la composizione degli organi delle amministrazioni comunali e le modalità di elezione e la durata dei consigli che trovano un coordinamento nel testo unico n. 570, 16 maggio 1960. Vi si stabilisce il numero dei consiglieri e degli assessori sulla base della popolazione del comune rilevata all'ultimo censimento; l'elezione del sindaco e della giunta in seno al consiglio comunale; il sistema elettorale - maggioritario nei comuni con voto limitato fino a 10.000 abitati; a scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale nei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti che diventano poi a 5.000 con legge 10 agosto 1964, n. 663. Il riparto dei seggi è effettuato, nei comuni con più di 5.000 abitanti, con il metodo del comun divisore (o metodo D'Hondt).
L'elettore vota una sola lista e può esprimere le proprie preferenze. La legge prevede che per l'eleggibilità è necessario saper leggere e scrivere e che i nuovi consiglieri, non in possesso di regolare titolo di studio, devono rilasciare la prova di alfabetismo. Il consiglio è presieduto dal sindaco, quale capo dell'amministrazione comunale.
Con il testo unico, approvato con D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, si riordinano le leggi che disciplinano l'elettorato attivo, la tenuta e la revisione delle liste elettorali.
In questi anni si giunge quindi ad un consolidamento del sistema elettorale comunale, che verrà modificato sostanzialmente solo con l'entrata in vigore della legge n. 81, 25 marzo 1993, che introduce l'elezione diretta del sindaco.
Nello stesso periodo viene anche disciplinata la propaganda elettorale con legge 4 aprile 1956, n. 212. Si stabiliscono regole per l'affissione dei manifesti elettorali, per le riunioni di propaganda, per la distribuzione dei volantini, degli annunci dei comizi e la sospensione di ogni attività elettorale dalla mezzanotte del venerdì precedente le elezioni.

intanto a Bologna

A Bologna si è votato il 27 e 28 maggio 1951 con una percentuale di 93.60 per cento di votanti e poi ancora il 27 maggio 1956, il 6 novembre 1960, il 22 novembre 1964, il 7 giugno 1970 (per la prima volta si vota, in contemporanea, anche per il Consiglio regionale), il 15 giugno 1975, 8-9 giugno 1980, 12-13 maggio 1985, e sempre con le stesse regole, il 5 e il 7 maggio 1990, per l'ultima volta. Vi si eleggevano sessanta consiglieri comunali che al loro interno esprimevano sindaco e giunta, composta da 15 assessori (12 effettivi e 3 supplenti).

Le innovazioni degli anni Novanta
A partire dal 1993, dopo decenni di sostanziale inerzia, la legislazione elettorale italiana è completamente rinnovata sia a livello nazionale che regionale, provinciale e comunale.
In questi anni sono infatti approvate:
 Legge n. 81, 25 marzo 1993, "Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia e del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale";
 Legge n. 276, 4 agosto 1993, "Norme per l'elezione del Senato della Repubblica";
 Legge n. 277, 4 agosto 1993, Testo Unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera della Repubblica;
 Decreto legislativo n. 408, 24 giugno 1994, convertito in legge n. 483, 3 agosto 1994, "Disposizioni urgenti in materia di elezione del Parlamento europeo";
 Legge n. 43, 23 febbraio 1995, "Nuove norme per l'elezione dei Consigli delle Regioni statuto ordinario";
 Decreto legislativo n. 197, 12 aprile 1996, "Attuazione della direttiva 94/80/CE concernente le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini della Unione europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza.

Con la legge n. 81/93 si conclude per i comuni una vera rivoluzione iniziata con la legge n. 142, 8 giugno 1990, "Ordinamento delle autonomie locali". La legge n. 142/90 riscriveva, dopo sessant'anni dalla legge comunale e provinciale del 1934, l'ordinamento degli enti locali in armonia con il dettato costituzionale, riconoscendo tra l'altro alla comunità locale il potere statutario e di autoregolamentazione. Alcuni aspetti erano però rinviati a successivi interventi del legislatore, quali la finanza ed il sistema elettorale. Vi provvede, come si è detto, la legge n. 81/93, con l'elezione diretta del sindaco quale risposta ad una crisi degli enti locali caratterizzata dall'instabilità degli esecutivi, conseguente al sistema elettorale proporzionale che non consente di conquistare la maggioranza consiliare per la formazione di un governo stabile. La nuova legge prevede per i comuni con più di quindicimila abitanti l'elezione diretta del sindaco contestualmente all'elezione del consiglio comunale. Ciascun candidato sindaco dichiara, all'atto della presentazione della sua candidatura, un apparentamento con una o più liste a cui si collega. Qualora nessun candidato raggiunga la maggioranza assoluta dei voti validi, si procede ad un secondo turno di ballottaggio tra i due candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di voti validi. Per l'attribuzione dei seggi consiliari è previsto un premio di maggioranza.


intanto a Bologna

La prima elezione diretta del sindaco avviene il 23 aprile 1995, quando la maggioranza dei voti è ottenuta da Walter Vitali, al primo turno.
Seguono altre due elezioni: il 13 giugno 1999 sindaco è Giorgio Guazzaloca (eletto al secondo turno) e il 12 giugno 2004 Sergio Gaetano Cofferati, al primo turno. I consiglieri eletti sono 46; con il premio di maggioranza si determina un numero di 28 consiglieri assegnati alla maggioranza e 18 alla minoranza.



Bibliografia

Ottorino Checchi, Gli organi del Comune, Editrice Caparrini, Empoli 1956.
Enrico Mazzoccolo, La nuova Legge comunale e provinciale, Edizione Hoepli, Milano 101, p. 49.
Alfonso Magnani, La legge ed i il regolamento comunale e provinciale, Edizione Istituto di studi municipali, Firenze 1922.
Michele La Torre, Commento al nuovo testo unico comunale e provinciale e alle norme complementari, Edizione Jovene, Napoli 1934.
Paola Furlan, Donne elette, il caso di Bologna, relazione al Convegno di studi storici 1946. I Comuni al voto. Partecipazione politica e ricostruzione nelle origini della Repubblica, Bologna 18-19 maggio 2006.
Luigi Giovenco, L'ordinamento comunale, Giuffrè editore, Milano 1971.
Carmelo Sichera, L'ordinamento delle autonomie locali, Pirola editore, Milano 1994.
Luciano Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali, Maggioli editore, Rimini 1991.
Guido Sechi, Gli organi di governo del Comune, SSAI editore, Roma 1997.

Vanna Minardi

Siti consultati all'agosto 2007:
www.camera.it (legislazione elettorale dell'Unità d'Italia)
www.archiginnasio.it
www.bibliotecasalaborsa.it