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12 Maggio 2017 Media. Così sono sparite dai giornali quelle vite bruciate

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Il fatto che le vittime fossero rom ha messo in pace le coscienze. Però è proprio il margine di incertezza, perdurante nonostante la sicurezza ostentata dalla questura di Roma, a rendere quella tragedia così eloquente. Nel giro di poche ore, mercoledì sera, la mattanza è stata derubricata da avvenimento inaudito, oggetto di universali commenti dal capo dello Stato in giù, a più comune vicenda di cronaca nera.
Non sarebbe stata la stessa cosa se si fosse trattato di una faida di camorra, se invece di un camper in cui vivevano tredici persone rom fosse stato incendiato un basso napoletano per la vendetta di un clan. Perché in quei casi l'incendio di Roma avrebbe parlato di noi: di noi italiani razzisti, o almeno lambiti da venature di odio razziale nei vicini della porta accanto, di noi italiani mafiosi, o quanto meno abituati a convivere senza troppo sforzo con la ferocia d'òsistema o delle 'ndrine. Ma se invece si è trattato del regolamento di conti interno a una comunità altra, diversa e differente, le cose stanno diversamente. Si può inorridire e dolere, ma senza essere tirati in mezzo. Il sistema mediatico si limita a registrare il décalage.
Nessuno potrebbe tacciare questa reazione mediatica di razzismo. Eppure sta proprio lì una faglia che, per il fatto stesso di esistere, rischia continuamente di allargarsi anche a dismisura: nella percezione di una differenza e nel diverso valore che, sulla base di quella differenza, viene automaticamente attribuito alla vita e alla morte.
Leggi l'articolo di Paolo Delgado su Il Dubbio del 12.5.17 ripreso nel sito ristretti.it